Pulce non c'e'

Recensione del 6 marzo 2014 di guido

- Regia: Giuseppe Bonito - Italia 2014.

Non è la prima volta che la nostra città viene scelta come set di un film per raccontare una storia, ma quella di cui vogliamo parlare è una storia particolare, una storia di disabilità. Alla fine della stagione cinematografica, all'inizio dell'estate, quando la gente è distratta e sta pensando alle vacanze, è uscito nelle sale di Torino un piccolo film dal titolo curioso, "Pulce non c'è", il primo lungometraggio di Giuseppe Bonito, già premiato dalla giuria del Festival di Roma, presentato con successo al Festival torinese "Sottodiciotto" . Pulce, la protagonista del film, ha nove anni, il naso a patata e due grandi occhi. Beve solo tamarindo, ascolta musica classica e gioca con i suoi peluche. Pulce non parla perché è autistica ma conosce altri modi per comunicare con i suoi genitori, la sorella Giovanna e con le maestre a scuola. A raccontarci Pulce e il suo mondo è la sorella Giovanna, tredici anni, attenta e curiosa di quanto accade attorno a sè, che ci racconta con naturalezza e intelligenza lo scontro fra il mondo degli adulti e il mondo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra normalità e malattia, tra le più rigide istituzioni e i legami affettivi nella famiglia. Giovanna nella realtà è Gaia Rayneri, una giovane scrittrice che vive tra Torino e Londra. Nel 2009 ha pubblicato il suo primo romanzo con Einaudi e nel 2012 ha collaborato alla stesura della sceneggiatura del film.


Nel suo racconto Gaia (nel film è Giovanna, interpretata da Francesca Di Benedetto) ci introduce nella vita della famiglia Camurati, una famiglia torinese in cui la presenza di una malattia che non ha evoluzione né cure, l'autismo, non ha impedito di condurre una vita "normale". La mamma, Anita, assiste con affetto e infinita pazienza Pulce, senza sottrare tempo ed energie al suo lavoro e agli altri componenti della famiglia. Il padre, Gualtiero, è un medico dall'apparenza burbera, che in casa costituisce un elemento di equilibrio e di sostegno per moglie e figlie e si inventa favole da raccontare a Pulce per calmare i suoi momenti di agitazione e di disperazione. La malattia, poco conosciuta o sovente travisata, ha scavato un solco tra la famiglia e il mondo esterno. Nel racconto, così come nel film, la separazione dei due mondi si allarga sempre di più e fa emergere le contrapposizioni con le istituzioni, inadeguate nel sostenere la malattia e nel risolvere i problemi della famiglia, non solo per la mancanza di risorse ma soprattutto per indifferenza e scarsa preparazione. Così, come molte altre famiglie che devono affrontare la disabilità, i Camurati sono lasciati soli, con il peso dell'handicap che ne modifica i comportamenti e i rapporti affettivi. Se per i medici e gli educatori Pulce è un "caso" da analizzare, per Giovanna è la sorellina "strana" che si ribella alle regole imposte dall'esterno. Ma per lei è normale, come normali sono le forme di comunicazione e di complicità con la sorella. Un giorno la mamma va a prendere la bambina a scuola e scopre che Pulce non c'è. Con espressioni reticenti e burocratiche le maestre la informano che Pulce, per disposizione di un magistrato, è stata condotta in una comunità. Sul padre grava una tremenda accusa, quella di aver abusato di lei. La sottrazione della bambina alla famiglia e l'accusa provocano reazioni diverse: la madre risponde con l'ansia e l'emotività, il padre con l'isolamento e l'apparente distacco. Chi non capisce quanto sta accadendo è Giovanna, che vede la sua famiglia distrutta dalla sofferenza per l'assenza della bambina. I genitori, che in un primo tempo non riescono a controllare le loro reazioni, precipitando in una situazione di incomunicabilità, infine riacquistano l'intesa trovando la forza per reagire e per lottare contro l'ottusità delle istituzioni . Una storia così dura e sconvolgente poteva essere trattata in tanti modi, ma attraverso lo sguardo di Giovanna, timida e fragile tredicenne, viene raccontata con estrema sensibilità e pudore. Daniele Portaleone




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