IL GRANDE QUADERNO

Recensione del 3 gennaio 2020 di Daniele Portaleone

Regia: Jànos Szàsz - Sceneggiatura: Andràs Szeker - Fotografia: Christian Berger - Montaggio: Szilvia Ruszev - Interpreti : Lazlò Géymànt, Andràs Géymànt, Piroska Molnàr, Ulrich Thomsen – Germania, Ungheria Australia, Francia 2013. 109’

Nel corso della seconda Guerra Mondiale, in un luogo non precisato dell’Ungheria, due fratelli gemelli di una famiglia media borghese vengono mandati dai genitori, per essere a riparo dagli orrori del conflitto, nella fattoria di campagna della nonna materna. L’anziana contadina, indurita dalla solitudine e dalla vita di campagna, ha un atteggiamento ostile verso i due ragazzi a causa del lungo silenzio della madre che negli anni non l’ha mai cercata. Li costringe ad eseguire i lavori più duri e li punisce anche in maniera violenta. Per sopravvivere in un ambiente così spietato imparano a resistere a tutte le sofferenze fisiche e psicologiche. Con il procedere della guerra crudeltà, lutti e orrori sconvolgono la loro esistenza. I ragazzi, senza tradire alcuna emozione, trascrivono gli eventi su un grosso quaderno donato loro dal padre prima della separazione. Inesorabilmente la violenza si impadronisce di loro fino a farne dei freddi vendicatori. Anche la fine della guerra non è portatrice di speranza, ai due gemelli rimane un’unica alternativa........


Tratto dal romanzo di Agota Kristoff, “La trilogia della città di K“, il film di Janos Szàsz presenta un mondo e un’umanità spietata, resi ancora più duri dalla guerra, evocata dai boati dei bombardamenti, dalle ombre e dal rombo degli aerei che sorvolano i paesi ma che non risparmia neppure i due ragazzi a cui essa ha strappato con violenza l’infanzia e l’innocenza. L’ambiente rurale è caratterizzato da una povertà e da uno squallore estremi aggravati dalla scarsezza dei beni di prima necessità causata dalla guerra. I rapporti fra gli abitanti del villaggio sono dettati dall’istinto della sopravvivenza e della sopraffazione. Anche la persecuzione e la deportazione delle comunità ebraiche, rappresentate in un unico episodio, denunciano la cultura dell’odio e dell’intolleranza che l’occupazione nazista ha esasperato nella popolazione e trova negli ebrei i capri espiatori delle sue condizioni miserabili. I due ragazzi, gemelli anche nella realtà, danno una prova straordinaria, esprimendo la loro ribellione e il loro dolore con gli sguardi e la determinazione a resistere a qualunque violenza. Molto dura ed efficace la recitazione della Molnàr, la nonna, arcigna nel volto, che nasconde una profonda sofferenza causata non solo dalla guerra ma da una vita segnata da fatica, solitudine e dolore.


Il regista Janos Szsàz, scegliendo di tradurre in film la prima parte la trilogia di A. Kristoff ha messo l’accento sulle vicende dei due gemelli durante la guerra, realizzando una dura requisitoria contro la follia degli uomini che, durante i conflitti mettono in luce i loro caratteri peggiori, l’intolleranza, l’odio e la violenza cieca, condizionando profondamente anche le nuove generazioni. La fotografia, nitida e fredda, di Christian Berger, collaboratore di Michael Haneke, descrive un paesaggio agreste spoglio e inospitale e un’umanità degradata dalla miseria e dalla guerra. “Il grande quaderno” è una dura metafora delle condizioni dell’infanzia nella guerra, allo stesso tempo ci fa fare quel passo in più nella storia che le testimonianze e i documenti hanno taciuto. La rappresentazione che la letteratura e il cinema di oggi restituiscono dell’infanzia in guerra è sempre condizionata dall’orrore e dalla compassione: i bambini e i ragazzi – quelli veri, con i propri pensieri, parole, desideri, paure - non compaiono quasi mai ma esistono come proiezioni degli adulti per suscitare sentimenti di commozione e di autoassoluzione. In quei giorni stavo leggendo il romanzo di Jerzj Kosinski ”L’uccello dipinto”, una favola nera in cui gli orrori della Seconda Guerra Mondiale sono visti attraverso gli occhi di un bambino di sei anni. Pubblicato nel 1965 negli Stati Uniti, Il romanzo di Kosinski, conobbe un durissimo boicottaggio nei paesi dell’Est e in Polonia ne venne impedita la pubblicazione fino ad anni recenti. Come modello letterario precede la “Trilogia della città di K” di Agota Kristoff, con la quale condivide il fatto di essere stato scritto in una lingua diversa da quella madre dell’autore. La visione del film “Il grande quaderno” e la lettura de”l’uccello dipinto”mi hanno suggerito alcune considerazioni, mentre giungono notizie poco rassicuranti dai paesi dell’Est europeo, in particolare, Polonia e Ungheria. In un’epoca come la nostra in cui la letteratura, il cinema e la televisione continuano a portarci nuove testimonianze sulla tragedia della Shoah, le opere della Kristoff, di Szsàz e di Kosinski ci ricordano che la maggior parte delle persone, soprattutto nei paesi dell’Est confinanti con la Germania, durante la guerra e l’occupazione nazista, non ebbero quasi mai gesti e sentimenti di pietà nei confronti degli ebrei e delle minoranze perseguitate. Al contrario li evitarono nel migliore dei casi, furono complici più o meno consapevoli in quello peggiore. L’Ungheria e la Polonia non furono totalmente paesi xenofobi e antisemiti ma ne furono imbevuti dalla propaganda nazista in modo profondo e costante. Le manifestazioni di odio antisemita e di intolleranza xenofoba e la rinascita dei movimenti neonazisti in quei paesi ci dicono che il seme della violenza e dell’odio continua a fruttificare. Daniele Portaleone



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