SANTIAGO, ITALIA

LUN 23 SETTEMBRE 2019

Regia e sceneggiatura: Nanni Moretti - Fotografia: Maura Morales Bergmann - Montaggio: Clelio Benevento - Italia/Francia/Cile 2018, 80’, documentario, Academy Two.


Dopo il colpo di stato in Cile e il clima di terrore instaurato dalla dittatura militare di Pinochet, l’ambasciata italiana di Santiago divenne un luogo di rifugio per centinaia di richiedenti asilo politico. Molti di questi vennero successivamente trasferiti nel nostro paese che li accolse offrendo loro la salvezza e la possibilità di un futuro. Molti di coloro che allora trovarono rifugio in Italia testimoniano oggi la propria esperienza.

Nell’ultima parte di Santiago, Italia, si riesce a cogliere in profondità il senso dell’intera operazione portata a termine da Moretti. Com’eravamo? Come siamo diventati? Come è stato possibile? Nell’Italia che si oppone in modo becero, violento e disseminando paure sulle migrazioni acquista un valore politico enorme ricordare che un’altra Italia è esistita. Un’Italia veramente popolare, memore della lotta partigiana che aveva riscattato il Paese dopo venti anni di mostruosità fascista. Un’Italia che era pronta a rispecchiarsi nell’altro, a trovare dei punti di connessione, a credere nel valore dell’umano esistere. A credere nella politica come luogo dell’incontro, della lotta comune, dello scambio di pensieri e opinioni. Quell’Italia, che pure era a rischio golpe a sua volta (il tentativo di rovesciare lo Stato da parte di Juno Valerio Borghese era del 1970) e che viveva nel cuore degli Anni di Piombo, aveva anche nelle fasce meno protette un popolo vivo, solidale, empatico. Ora gli esuli cileni che scelsero di rimanere in Italia, dove magari si erano ricostruiti una famiglia, sono ancora lì a ricordare tanto la loro amata patria socialista sotto Allende, tanto una penisola che li accolse e li rese parte di un processo sociale in divenire. Ma dov’è quel popolo? Che fine ha fatto? Dove si nasconde? (Raffaele Meale, www.quinlan.it)


Il film scorre via breve, essenziale (…). Pochi filmati di repertorio, per questo ancora più incisivi. Ciò che interessa è il racconto di chi in Cile, per tre anni, visse un sogno brutalmente interrotto e in Italia trovò accoglienza, da parte delle istituzioni che offrirono lavoro, e da parte della gente comune. “L'Italia del 1973 era un paese meraviglioso”, raccontano questi cileni: “gli italiani simpatizzavano con noi come se avessero vissuto il golpe loro stessi”. Era un Paese che aveva appena ottenuto lo Statuto dei lavoratori, che “assomigliava al Cile di Allende”. “Ora in Italia vedo solo individualismo, non frega più a nessuno del prossimo”. (…) Quello di Moretti è un film potente e importante: la sua chiarezza nel rispecchiare in modo esplicito un’Italia del passato tanto diversa da quella del presente è il suo fine e il suo valore. Un’idea forte che si svela progressivamente e lo tiene insieme tutto, dall’inizio. Si vorrebbe qualche informazione in più: i numeri dei rifugiati, il numero dei viaggi organizzati dall’ambasciata, come fu possibile raggiungere l’aeroporto, cosa ne fu dei familiari rimasti in Cile: ma il motivo per cui Moretti non ci parla di questo è chiaro. Il tema del film non è né il golpe né la ricostruzione di come i rifugiati riuscirono a scappare: il tema è l’Italia, l’accoglienza che un tempo ci fu. Dunque Santiago, Italia si pone un preciso obiettivo, qui e ora, per noi italiani del 2018, che ci sentiamo chiamati in causa in prima persona. A questo, con la massima concretezza che si può chiedere a un documentario, il film delimita la propria ambizione: e l’obiettivo viene raggiunto schiettamente, con la forza dell’ evidenza. (Stefano Santioli, www.ondacinema.it)

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