UN AFFARE DI FAMIGLIA

MER 9 E GIO 10 OTTOBRE 2019

(Manbiki Kazoku) Regia, sceneggiatura, montaggio: Kore-eda Hirokazu - Fotografia: Ryûto Kondô - Interpreti: Lily Franky, Kirin Kiki, Sôsuke Ikematsu, Mayu Matsuoka, Sakura Andô, Jyo Kairi, Kengo Kora, Yôko Moriguchi, Moemi Katayama, Yuki Yamada, Akira Emoto - Giappone 2018, 121’, Bim.


In una casetta diroccata nella periferia di una metropoli giapponese, di proprietà di un’anziana che usa la sua pensione per giocare d'azzardo, vivono anche due adulti, con poca voglia di lavorare e un'inclinazione naturale verso furtarelli, un piccolino dedito al taccheggio e una ragazzina che lavora in un peep shop. Un giorno, la famiglia accoglie una bambina, maltrattata e dimenticata dai suoi genitori, che trova con loro il conforto umano che le manca… Palma d’Oro a Cannes 2018.

La famiglia, per definizione, non si sceglie. O forse la vera famiglia è proprio quella che si ha la rara facoltà di scegliere. Libero arbitrio parentale: un tema niente affatto nuovo nel cinema di Kore-eda Hirokazu, dallo scambio di figli di Father and Son alla sorellanza estesa di Little Sister. (…) Il conflitto tra legge morale e legge sociale trasforma i toni quasi da commedia della rappresentazione della famiglia fittizia in un dramma colorato di nero, che colpisce come una sferzata, dopo aver aperto il cuore al sentimento. Lo scontro tra legge e natura raggiunge il suo apice nell'epilogo di Un affare di famiglia, dimostrando l'invincibilità della prima - che ostruisce la costruzione di un modello alternativo - ma ribadendo con forza le ragioni della seconda. (…) Con la grazia che lo contraddistingue nella trattazione delle dinamiche familiari e nelle sfumature di comportamento dei più piccoli, infatti, Kore-eda seziona, con un invisibile bisturi, l'ipocrisia su cui si regge il formalismo nipponico e svela l'abisso che separa le classi sociali. Le professioni umilianti o usuranti che accomunano i membri della "famiglia" costituiscono il nuovo proletariato urbano, assai più eterogeneo e meno leggibile di quello analizzato da Marx. La classe operaia che, anziché sognare il paradiso o una rivoluzione, convive con il "job sharing". Con Un affare di famiglia si ride, ci si commuove e si rischia di finire con il cuore in frantumi. Mai così pessimista, ma forse mai così lucido, Kore-eda è ormai un classico vivente. (Emanuele Sacchi, www.mymovies.it)


Il clan Shibata non è costruito sui legami di sangue ma su legami fondati sull’interesse economico, sull’inganno, la manipolazione. Eppure, come disse una volta a proposito di altre questioni l’attuale pontefice (…), chi siamo noi per giudicare? Per giudicare, intendo, una famiglia che cresce sì come ladri i suoi virgulti però garantendo loro una protezione dagli orrori del mondo là fuori? Si resta avvinti a questo mirabile racconto che, con precisione geometrica e massima sobrietà e pulizia di stile, pone l’eterna ma sempre cruciale questione: chi sono i veri genitori, quelli che i figli li generano e producono o quelli che li crescono? E quanto contano i legami di sangue, quanto si può eludere il dato biologico? Kore-eda aveva già affrontato la questione in Like Father, Like Son lanciato a Cannes, e che ebbe anche un premio dalla giuria presieduta da Steven Spielberg: neonati scambiati nella culla e allevati dunque nella famiglia sbagliata. Ma davvero sbagliata? Come allora, anche adesso il regista non offre risposte, pone solo domande. E le ultime scene, così pudicamente strazianti e nipponicamente misurate, non fanno che porci domande e altre ancora. Un film semplice e terso, che è puro Kore-eda e ne conferma la statura di maestro. (Luigi Locatelli, nuovocinemalocatelli.com)

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