Recensione del 1 settembre 2014 di Stefano
È chiaro che Mommy da un punto di vista formale sia intrigante. Ma la domanda da porsi è: quanto questa forma è funzionale al contenuto? Infatti è elevato il rischio di cadere in una rappresentazione compiaciuta ed estetizzante (i ralenty, la paletta fortemente oro). Si tratta di voler esprimere visivamente la personalità schizzata e narcisistica del protagonista? Allora perché chiamare il lungometraggio Mommy e non concentrarsi soprattutto sulla madre? Forse è proprio nella difficoltà di scegliere un punto di vista forte e dominante che risiede la principale debolezza del film. La sceneggiatura si rivela altrettanto disordinata: perché terminare il film sul personaggio di Steve (tra l'altro con un'eroicizzazione e un "grido di libertà" assolutamente non necessari) e non su quello di Diane, com'era iniziato? L'idea della legge orwelliana è poi a dir poco imbarazzante, i dialoghi spesso verbosi. Qui come altrove sarebbe consigliabile che un regista, invece di volersi a tutti i costi spacciare come Autore, si affidasse a degli sceneggiatori veri. Un altro rischio è quello di creare un "simbolismo" che un realtà non lascia molta libertà alla riflessione dello spettatore: giocare col formato dell'immagine è senza dubbio ambizioso, ma una volta che si capisce l'equazione (mi sento soffocato / posso finalmente respirare un po') diventa sterile.
Oppure la metafora appare strana e fuori luogo: come interpretare l'incipit, evidente citazione del Peccato Originale di Eva? O come interpretare l'alternanza tra un registro rozzo e sfacciato, offensivo nei confronti dei personaggi (una panoramica che si apre sul primo piano del sedere di Diane, ad esempio) e un altro che ci domanda disperatamente d'identificarci con queste figure? Non mancano poi dei momenti di esagerazione melodrammatica che neanche l'Arthur Penn più infelice (si vedano la sequenza dell'arresto e quelle subito successive) che causano un effetto contrario a quello ricercato: un rigetto da parte dello spettatore. La colonna sonora è tutta composta da canzoni-tormentoni, ovvero dalla compilation diegetica del ragazzo, per una volontà di "realismo" (come il regista ha rivelato in un'intervista). Ma allora come spiegare le battute che i due protagonisti inventano a partire da titoli di film neanche così mainstream (Diane: L'ultima casa a sinistra; Steve: dà del Kirikù all'autista)? Insomma, Xavier Dolan appare confuso. Chi scrive, forse aiutato dal fatto di non aver visto i suoi film precedenti, è convinto di non trovarsi davanti a un'opera matura ma a un regista che deve ancora trovare la propria strada. Per questo motivo avremmo potuto elencare come molti altri hanno fatto i pregi del film e tesserne le lodi, ma abbiamo invece preferito mostrare i limiti di quella che rimane a tutti gli effetti un'opera più che sufficiente.
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