UNA SEPARAZIONE

Recensione del 21 ottobre 2011 di Jechenoz

Regia: Asghar Farhadi - Iran 2011.

Simin è una donna di Teheran che vuole lasciare l’Iran per offrire un futuro alla figlia undicenne e vivere finalmente libera dai condizionamenti della legge islamica. Il marito Nader, che deve accudire il padre affetto dal morbo di Alzheimer, non vuole partire con lei. La donna lo lascia e torna dai suoi iniziando la causa di separazione per l’affidamento della ragazzina che, per il momento, decide di restare col genitore. Per seguire l’anziano padre malato, nelle ore in cui lui è al lavoro e la figlia è a scuola, Nader assume Razieh, una donna povera e religiosa, incinta di quattro mesi e con una bambina di 5 anni a cui badare. Un giorno Nader torna presto dall’ufficio e scopre che la donna si è assentata senza permesso e che il padre è stato legato al letto ed è caduto. Al rientro di Razieh, Nader si infuria, la licenzia e la spintona fuori dalla porta, lei cade per le scale e perde il bambino. Nader viene così accusato dell’omicidio del feto che, essendo dopo il quarto mese, è considerato un essere umano completo. Hodjat, il marito di Razieh, disoccupato, violento e pieno di debiti, pretende giustizia. Col procedere del film, si scoprirà che la realtà è un'altra.


Già vincitore dell’Orso d’Argento nel 2009 (“About Elly”), il trentanovenne Asghar Farhadi con “Una separazione” (Jodái-e Náder az Simin) quest’anno si è aggiudicato l’Orso d’Oro. E a Berlino, il film ha ricevuto anche l’Orso d’Argento per l’insieme del cast maschile e femminile. Inoltre, la pellicola è stata scelta per rappresentare l’Iran agli Oscar come miglior film straniero: non succedeva dal 1979 che le autorità di quel paese proponessero un film all’Academy Awards. Come nell’opera precedente, il regista segue i personaggi con la macchina a mano e con frequenti inquadrature ravvicinate che obbligano lo spettatore a fare i conti con le emozioni dei protagonisti. Soprattutto quelle della giovanissima Termeh, indecisa come spesso nelle separazioni, tra le ragioni del padre e quelle della madre. Termeh che attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali, con intelligenza e sensibilità , osserva e giudica il comportamento e le menzogne dei grandi. Farhadi racconta anche dell’incomunicabilità tra due classi in una società complessa come quella iraniana, esplicitato nello scontro tra la famiglia borghese di Nader e quella poverissima di Razieh. La repressione in atto nel paese resta fuori dalla porta e il film praticamente non ne parla, non è nelle corde del regista, che pure recentemente ha espresso solidarietà a Panahi.


Con un ritmo da thriller, privo di tempi morti, Farhadi ci fa entrare nella Teheran quotidiana. Quella che racconta, con un occhio al neorealismo italiano a cui dice di essersi ispirato, è una storia iraniana dove le donne portano il velo (falsamente anche tra le mura domestiche, dovendosi nella pellicola mostrare al pubblico anche quando sono in casa) e dove tutti si appellano al Corano, ma con personaggi che nelle loro emozioni, nelle loro ipocrisie e contraddizioni travalicano i confini di quella nazione e di quella religione. Sotto a questo aspetto “Una separazione” è una grande opera che non può non coinvolgerci ed emozionarci. Tutti i personaggi della storia hanno le loro colpe e tutti, in qualche modo, sono innocenti. Un unico appunto: Farhadi sembra guardare con una punta d’indulgenza in più a Nader in quanto uomo e, più in generale, ai personaggi della classe media a cui lo stesso regista appartiene. Razieh è ignorante e iperreligiosa, Hodjat è irrimediabilmente violento: forse non era nelle intenzioni dell’autore, ma succede che i poveri finiscano di apparire un po’ più brutti, sporchi e cattivi. Jechenoz



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